Oggi giorno si sente sempre più spesso parlare di revenge porn e delle sue vittime. Quest’ultime, nella stragrande maggioranza dei casi donne, spesso restano in silenzio e non espongono denuncia contro i loro “aguzzini”.
Ma di cosa si tratta? Nel dettaglio si definisce revenge porn la diffusione di contenuti multimediali a sfondo sessuale, avvenuta senza il consenso della persona ritratta.
Un gesto del genere ferisce una donna più di un colpo di pistola. Quasi sempre a scatenare questa “vendetta” è proprio un ex partner.
Molti Paesi del mondo si sono resi conto che i numeri relativi alle vittime di questo ricatto sessuale sono in continuo aumento. Per questo motivo è necessario formulare degli strumenti normativi appositi, proprio come è accaduto in Israele, Germania, nel Regno Unito, e in trentaquattro Stati degli USA.
Revenge porn: la situazione italiana
In Italia fino al 2019 non esisteva alcuna normativa specifica a tutela delle vittime di questo crimine. Quest’ultime erano costrette a fare riferimento ad altre normative che regolano i reati di diffamazione e violazione della privacy, oltre naturalmente a trattamento scorretto dei dati personali ed estorsione.
Ma dopo un dibattito acceso, durato a lungo, in Italia qualcosa è cambiato. Per il nostro Paese la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti rappresenta un reato regolato dall’art. 612-ter del codice penale.
A tutela delle vittime di revenge porn ma anche di violenza domestica e stalking, è stato elaborato in Italia il cosiddetto codice rosso. Il reato di revenge porn viene introdotto nel codice rosso con l’art. 10 comma 1 della Legge 19 luglio 2019 n. 69.
Inoltre, in Italia le vittime di questo reato sono tutelate anche dal garante della privacy. DIfatti, chiunque, compresi minori e maggiorenni, abbia trovato in rete del proprio materiale sessualmente esplicito, diffuso naturalmente senza autorizzazione, può effettuare una segnalazione al garante della privacy.
Quest’ultimo, entro 48 ore provvederà ai sensi dell’articolo 58 del regolamento (UE) 2016/679 e degli articoli 143 e 144 del Codice Privacy, a predisporre gli opportuni accertamenti.
Come viene punito il reato
Occorre precisare che la normativa prevede due commi quindi risulta abbastanza articolata. Il 1 comma fa riferimento al danno generico recato alla vittima. Quindi il reato trova conferma nel momento in cui ci sia anche solo la volontà da parte del colpevole, di umiliare e danneggiare la vittima attraverso la diffusione del materiale.
In questi casi il reato è punibile con una pena pari alla reclusione da uno a sei anni e con una multa che va dai 5.000 ai 15.000 euro.
Mentre il 2 comma si occupa di specificità, tenendo conto anche di fatti e situazioni che hanno portato alla diffusione delle immagini e dei video.
Per esempio, in molti casi è la vittima stessa ad aver inviato le proprie immagini ad un’altra persona, che a sua volta le ha mostrate ad una terza persona ed è proprio quest’ultima che le ha poi diffuse in rete.
Poi occorre parlare anche degli aggravanti previsti da tale normativa. Una circostanza aggravante che prevede poi un aumento della pena è la diffusione del materiale da parte del coniuge della vittima o comunque una persona legalmente legata alla vittima.